Mentre lo splendore della primavera sta per lasciare il posto all’estate, i ricordi tornano inaspettati: sono le memorie dell’adolescenza, le memorie di un tempo lontano, fatto di spensieratezza e di libertà, oltre che d’infiniti sogni.
In questi ultimi giorni, la mia mente recupera spesso certi piccoli viaggi fatti in corriera, viaggi che, a distanza di tanti anni, mi appaiono buffi e mi sorprendono. Ai miei tempi, infatti, ossia quand’ero minorenne e trascorrevo l’estate in montagna, spostarsi con questi mezzi lungo le strade dell’appennino assomigliava a una specie di viaggio della speranza: l’odore di benzina era intollerabile, un vero attentato per l’incolumità dei passeggeri, i sedili erano stretti e le sospensioni non svolgevano bene il loro compito; se a ciò si aggiunge lo stato delle strade non sempre eccelso, si capisce che viaggiare non era un trionfo di benessere e comodità. Però eravamo tutti abituati a questo stato di cose, la realtà era quella, prendere o lasciare.
Ricordo che, quando viaggiavo in corriera, a colpirmi erano sempre le fermate, soprattutto quelle remote, quelle che comparivano d’improvviso isolate, fra un paesino e l’altro, in posti assurdi. Quelle fermate erano lì, sole, dimesse, quasi pudiche, un palo e un piccolo cartello azzurro ad autorizzarne l’esistenza. Spesso mi chiedevo chi mai potesse attendere la corriera standosene in mezzo al nulla, sul ciglio della strada, vicino a una curva, sotto al sole o alla pioggia a seconda delle stagioni; eppure, con mia grande meraviglia, talvolta capitava che qualcuno salisse proprio da una di queste fermate, e, quando ciò accadeva, mi chiedevo da dove fosse sbucato quello strano essere capace di aspettare un mezzo pubblico in un angolo di mondo dimenticato persino da Dio. Poi capivo subito che si trattava di chi risiedeva in qualche area isolata, in luoghi per me incomprensibili, formati da quattro o cinque abitazioni strette fra loro lungo qualche sentiero invisibile, minuscoli agglomerati che non appartenevano a nessun paese ma esistevano, suggerendo così la presenza di esseri della mia specie che, come me, avevano bisogno di prendere una corriera.
Ma sono soltanto io a subire il fascino di simili ricordi, in apparenza irrilevanti?
(L’immagine proviene da qui: https://curiosando708090.altervista.org/fiat-3063-lautobus-degli-italiani/)